Teatro

Méhul, un compositore nei salotti di Napoleone

Méhul, un compositore nei salotti di Napoleone

Un concerto al Palazzetto Bru Zane anticipa le celebrazioni della fondazione italo-francese per il bicentenario della morte del compositore Étienne-Nicolas Méhul (1763-1817)

L'anno prossimo ricorrerà il bicentenario della morte di Étienne-Nicolas Méhul (1763-1817), compositore considerato tra i promotori del romanticismo musicale in Francia; e la Fondazione Bru Zane di Venezia ha già in programma di dedicargli l'anno prossimo, se non proprio un apposito festival come in altri casi, comunque una serie di concerti sparsi nell'anno ed una conferenza di Fabrizio Del Seta ai primi di febbraio 2017.

Nel frattempo, un primo approccio alla sua figura è stato offerto da questo concerto che ha visto Francesco Corti – fresco di nomina quale docente di clavicembalo presso la prestigiosa Schola Cantorum Basiliensis – chiamato ad esibirsi in un programma di composizioni collocate cronologicamente tutte negli Ottanta-Novanta del Settecento, e pensate per fortepiano: quello cioè  strumento nato dapprima come evoluzione e miglioramento del clavicembalo tardo barocco, ma che già in quegli anni – anni ad un passo dal Romanticismo, in cui Mozart, Haydn, il giovane Beethoven scrivono fondamentali opere sulla sua tastiera - aveva oramai acquisito un suo differente e preciso carattere. Ed era prossimo oramai al trasformarsi, grazie ad ulteriori affinamenti tecnici quali il rafforzamento del somiere, il telaio in metallo e l'introduzione dei pedali, nel pianoforte che oggi noi conosciamo.

Programma estremamente coerente dal punto di vista cronologico, quello del concerto veneziano, come vediamo subito. Parigine le due Sonate op. 1 pubblicate nel 1783 da un Mèhul ventenne, e quindi per ora lungi dall'essere l'originale compositore teatrale che trionferà - sotto la Rivoluzione prima, e sotto il Primo Impero poi -  sulle scene dell'Opéra-Comique. Ancora legata agli stilemi settecenteschi la prima, stesa in forma tripartita, considerata la sua quieta amabilità; pervasa da ben più teatrale drammaticità la seconda invece bipartita, specie nel tempestoso primo movimento Allegro di netto sapore preromantico, e nella solidità strutturale del successivo Minuetto. Sempre parigina anche la Sonata in re maggiore di Hyacinthe Jadin, pubblicata come op. 5 n. 2 nel 1795: l'anno di fondazione del celebre Conservatoire di cui Jadin fu, sino alla precoce scomparsa, uno dei primi insegnanti di piano. Composizione in cui la classica forma-sonata impera nei due veloci movimenti estremi - più sviluppati rispetto al conciso ed affettuoso Andante centrale – i cui temi si sviluppano con serrato dialogismo e con attraente originalità. Tratti che fanno ben intravedere quali saranno i futuri sviluppi della scuola pianistica francese, di cui Jadin è da porsi a buon diritto tra i fondatori.

Altra civiltà, altra atmosfera è quella viennese nella quale ci portano le Variazioni sul tema «Unser dummer Pöbel meint» K 455, che Mozart fissò sul pentagramma nel 1783, dopo averle improvvisate come doveroso omaggio nel corso di un concerto in cui l'autore dell'aria, il grande Gluck (l'opera da cui proviene è Les Pèlerins de la Meque del 176) era seduto in sala. Un netto passo avanti nel genere delle variazioni, trattate da Mozart con estrema fantasia e libertà rispetto alla solita consuetudine che vedeva in esse solo un esercizio di brillante virtuosismo; e che fa intravedere già in cosa potrà trasformarsi, tra le mani di Beethoven, con le Variazioni su un tema di Diabelli. Ancora a Vienna sarà stata sicuramente pensata la Sonata per piano in mi minore Hob XVI:34 di F.J. Haydn, pubblicata nel 1784 a Londra, ma con ogni probabilità di qualche tempo precedente. Lavoro di un'eleganza riservata, lontana dalle temperie Sturm und Drang presenti altre sue composizioni cdi quegli anni, rilucendo invece di sensibilità ancora pienamente settecentesca specie nell'andamento sognante, e nelle volute melodiche dell'Adagio centrale. Anche il Molto vivace finale, guarda caso, porta l'appropriata raccomandazione di eseguirlo “innocentemente”.

Dopo aver conquistato il pubblico del Palazzetto Bru Zane con le sue esecuzioni, fresche e gradevoli nella distesa lettura e stilisticamente ben coerenti, Francesco Corti lo ha sorpreso presentando quali bis prima il galante Andantino, poi il luminoso Presto conclusivo di una Sonata di Baldassarre Galuppi composta nel 1781-82 a Venezia. Offrendo con essa un voluto e quanto mai significativo gioco di contrasti sonori, poiché questa partitura, benchè coeva alle precedenti, mostra un tutt'altro carattere. Non vi sono molti dubbi infatti che venne ancora concepita dal Buranello sulla tastiera di un clavicembalo, come stanno a palesare le sue caratteristiche tecniche, come pure il sapore amabilmente rococò che pervade ogni sua pagina.

Per gli amanti della filologia, lo strumento utilizzato da Corti è copia fedele di un fortepiano del costruttore tedesco Anton Walter, risalente al 1795 circa, eseguita dall'artigiano americano Paul McNulty che ha il suo laboratorio a Divisov, tra i boschi della Boemia che gli forniscono preziosa materia prima.